top of page

UNA STORIA CHE COMINCIA DA LONTANO di Anna Ruggiu 

Testo della Relazione svolta da Anna Ruggiu, allora presidente dell'Associazione Sucania, nel 1995, in occasione del 1° corso di educazione allo sviluppo organizzato dall'Unicef Sardegna.

 


Alcuni etnologi li definiscono facenti parte di un popolo in via di estinzione e quindi bisognoso di tutela e di protezione. La loro storia, la storia della loro origine resta tuttora misteriosa. Solo nel XVIII secolo gli studi linguistici risolsero, in parte, il mistero della loro origine: dovrebbero provenire dall’India, l’origine della loro lingua sarebbe quella dei dialetti indiani.

Gli studiosi, seguendoli nei loro diversi spostamenti, stabilirono che la lingua zingara (il romané) deriva da quella dell’India nord-occidentale.

Per quanto riguarda le motivazioni della loro partenza non si possiedono certezze, né sul periodo, né sulle circostanze, tanto meno si conosce la loro identità prima che abbandonassero il loro paese d’origine: l’India appunto. Qualche studioso ritiene che gli avi degli zingari fossero quelli che oggi sono definiti i fuori-casta; altri studi condotti in Persia sostengono che fossero esperti nell’arte del liuto e che allietassero i popoli che attraversavano con la loro musica.
Sulla base delle conoscenze linguistiche gli ziganologi hanno tentato di ricostruire il cammino percorso dagli zingari una volta abbandonata l’India: avrebbero attraversato la Persia e l’Armenia per raggiungere l’impero bizantino e si pensa che alcuni gruppi si siano stabiliti in Arabia, mentre altri gruppi avrebbero continuato verso l’Egitto e l’Africa. Gli zingari avrebbero sostato a lungo in questi territori, per diversi secoli, prima di intraprendere altri viaggi che li portarono verso l’Europa.

Probabilmente non è corretto ritenere che si sia verificato un unico flusso migratorio e ci pare più accettabile la tesi di una giovane studiosa cagliaritana, Violetta Pireddu, che ritiene più probabile che si siano verificate due diverse fasi migratorie, una all’inizio del 1300, limitata ai primi episodici spostamenti, ed una alla fine dello stesso secolo caratterizzata da un’imponente flusso migratorio provocato da sconvolgimenti sociali determinati, probabilmente da guerre di grande rilievo.

Gli zingari in Europa (secondo gli stessi studi linguistici cui si è fatto riferimento) apparterrebbero all’ondata migratoria dei primi anni del 1300. La loro prima presenza è stata segnalata a Creta, nel 1322 da due frati minori. In Egitto si presentarono con le credenziali di Duchi o Conti del Piccolo Egitto. Nel 1362 è segnalato il loro ingresso nei territori della penisola balcanica: la Iugoslavia.

Dopo l’occupazione del Peloponneso da parte dei turchi (1423) numerosi gruppi di zingari emigrano verso l’occidente. E’ quindi dal 1400 che gli zingari sono presentì in tutta l’Europa.

Può essere significativo per la conoscenza di questo popolo, riportare come alcune cronache dell’epoca hanno segnalato la loro prima apparizione e di come, quindi, ha avuto inizio la loro storia segnata da provvedimenti di espulsione, discriminazione, persecuzioni, schiavitù che culminano nel tentativo di genocidio perpetrato dal nazismo.
Il primo documento della loro presenza in Italia è del 1422: gli italiani si incontrarono per la prima volta con un gruppo di zingari provenienti dall’Ungheria che accompagnavano il Duca d’Egitto che si recava a Bologna. Il commentatore li descrive con queste parole: “la più brutta genia che mai fosse stata in quelle parti, magri e neri e mangiavano come porci”.

Un’altra apparizione è raccontata da un cronista di Forlì che descrive l’arrivo nella sua città di zingari provenienti dall’India descritti “quasi bestie impazzite e depravate”.

Questi due esempi sono illuminanti per capire che si apriva una storia di conflitti tra due culture e due diverse concezioni del mondo. Da una parte popolazioni sedentarie legate alle loro città e villaggi e garantite da economie e commerci stabili, dall’altra parte i gruppi di zingari in un continuo e permanente bisogno di peregrinare che attraversavano o abitavano per brevi periodi le sedi delle popolazioni sedentarie rimandando l’immagine di un mondo radicato nel nomadismo.

Il nomadismo, a differenza delle economie sedentarie, esprime un tipo di economia che secondo le classificazioni etnologiche è definita predatoria: fondata cioè sull’acquisto di beni alimentari non prodotti e appartenenti alle popolazioni sedentarie.

Due popoli, quindi, uno sedentario e l’altro nomade con usi e costumi fortemente in contrasto tra di loro. Il modo di essere dell’uno, caratterizzato da un mutamento continuo di domicilio, è un allarme inquietante per l’altro che vive stabilmente all’interno delle mura della città. Questo mutamento continuo è vissuto, ancor oggi, come un pericolo costante che mette in crisi la sicurezza ed i valori acquisiti , soprattutto, costringe a continui confronti.

Nelle persecuzioni contro le streghe, i giudici erano tenuti ad accertare, preliminarmente, che l’indiziata avesse un domicilio stabile e che non l’avesse mutato più volte, divenendo, questo “cambiare domicilio” un indizio di pratiche stregoniche.

Non a caso sugli zingari cade ancor oggi l’accusa di malefici e di stregoneria e non a caso sin dal medioevo furono assegnati a quell’area di emarginazione fisica che appartiene a tutti coloro che trattano con il fuoco ed i metalli, fuori dalle mura della città (come si vede poco è cambiato da allora).

La diversità tra il popolo sedentario ed il popolo nomade è tale da creare nel tempo barriere a volte insuperabili che si risolvono nella formazione di pregiudizi.

Questo conflitto ha avuto il suo culmine, come si è detto, con lo sterminio operato da Hitler nei campi di concentramento dove furono ammazzati almeno 500.000 zingari. Molti documenti dell’epoca sono andati distrutti anche perché, a differenza di quanto avvenne per gli ebrei, questi gruppi non godevano di alcuna solidarietà. I documenti ufficiali segnalano che in Crimea, nella sola notte di natale furono uccisi 800 zingari; ad Auschwitz, da marzo a settembre, ne morirono 7.000, e nella solo notte tra il 31 luglio ed il primo agosto del 1943 ne furono uccisi col gas altri 4.000. Una giovane medica ebrea, costretta a prestar servizio nel campo di Birckenau, riferisce che nel 1943 il numero degli internati di etnia zingara fu di 16.000.

Nei campi di concentramento gli zingari venivano utilizzati per gli esperimenti, in particolare i bambini, per ricerche sulla gemellità, sulle cause biologiche del nanismo e del gigantismo. Le donne e le bambine zingare furono oggetto di sterilizzazione di massa, operazione che era generalizzata per le zingare mentre per le donne ebree era utilizzata a titolo punitivo ed individuale. Un comandante delle SS, Shuren, accusato da una testimone sopravvissuta di aver fatto sterilizzare donne e bambine, si giustificò con queste parole: “non soltanto donne e bambine, ma anche uomini e ragazzi, ma si trattava di zingari”.

La presenza degli zingari in Sardegna
Il numero degli zingari presenti in Sardegna oscilla tra le mille e le millecinquecento unità distribuite, anche se non in maniera omogenea, in tutte le province. Una stima precisa non è, ovviamente, possibile proprio per la tendenza al nomadismo e perché da sempre questo popolo non ama farsi censire. Tuttavia la loro presenza, a partire dalla metà degli anni 70 è abbastanza stabile (la maggior parte dei minori è nata in Sardegna). Stabilità, tuttavia, non significa sedentarietà, visto che molti gruppi continuano periodicamente a spostarsi anche se, spesso, per ritornare nel luogo da cui sono partiti.

I gruppi presenti in Sardegna sono i seguenti:

I sinti. Di provenienza mitteleuropea costituiscono il gruppo numericamente più esiguo e sconosciuto alla maggioranza dei sardi soprattutto a causa della loro riservatezza. Si tratta di nomadi giocolieri, artisti del circo e giostrai. Sono cattolici e, culturalmente, i più vicini alla cultura italiana.
I Roma-Xoraxané. Sono di origine iugoslava e molto poveri; hanno grosse difficoltà anche per trovare luoghi per la sosta. Il loro mestiere tradizionale era la lavorazione dei metalli e del legno. Sono di religione mussulmana e provengono dalla Bosnia Erzegovina e dal Montenegro.
I Dassikané. Sono di religione cristiana ortodossa ed anch’essi di origine iugoslava. Tradizionalmente lavoravano i metalli ma questa attività, tra di loro, è praticamente scomparsa. Sono di condizione povera e caratterizzati da famiglie numerose e da un’età media molto bassa.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica i gruppi più numerosi sono presenti a Cagliari e nel suo entroterra. Nella città di Cagliari, prima dell’apertura del campo sosta della “554″ erano presenti circa 800 zingari. Gli sgomberi effettuati per il loro trasferimento nel campo sosta hanno ridotto la loro presenza a circa il 50% in quanto molti di essi hanno preferito lasciare la Sardegna verso la Germania, Milano ed il sud-italia; da qualche mese hanno espresso il desiderio di poter tornare, ma non trovano accoglienza.

A Monserrato risiedono da tempo una quarantina di persone. E’ agevolata la frequenza del consultorio per la cura e la prevenzione, il comune sta studiando un piano di accoglienza ed i bambini frequentano con regolarità la scuola elementare.

A San Gavino Monreale risiede, in forma più o meno stabile un gruppo di Dassikané proveniente dalla Serbia.

A Carbonia vivono da diversi anni alcune famiglie che abitano alcuni vecchi appartamenti del centro.

In provincia di Oristano l’unica presenza si realizza a San Nicolò Arcidano. Grazie soprattutto all’opera della chiesa locale si è intessuto un rapporto positivo tra la comunità locale e gli zingari.

Ad Olbia abitano 8 famiglie con un’alta presenza di bambini la maggior parte dei quali frequenta la scuola. Dal 1994 risiedono nel campo sosta predisposto dal Comune.

Ad Alghero la comunità Rom residente è composta attualmente da una cinquantina di persone, di cui 30 minori che da quest’anno frequentano la scuola elementare della borgata di Fertilia. Si segnala che l’amministrazione comunale ha individuato un’area per la sosta, in prossimità di Fertilia, dove ha predisposto per ciascuna piazzola una presa di corrente elettrica, servizi igienici, lavello e lavatoio.

Gli stereotipi della criminalità
E’ diffusa tra la popolazione l’idea che gli zingari presenti nel territorio cagliaritano siano dediti ad attività criminali. Alcuni giungono a ritenere che la tendenza a delinquere sia insita nella natura di questo popolo errante.

Il principale errore che si osserva a questo proposito è quello di generalizzare. In realtà, la maggior parte degli zingari presenti in Sardegna (esattamente come nelle altre regioni italiane) ha visto gradatamente scomparire la possibilità di esercizio dei loro mestieri tradizionali. Anche in conseguenza di ciò, una parte dei nomadi oggi commette reati, quasi esclusivamente contro il patrimonio.

In un recente seminario organizzato a Cagliari dall’associazione Sucania, cui, tra gli altri, ha preso parte il responsabile di polizia dell’ufficio stranieri, si è rilevato che i gruppi nomadi “cagliaritani” sono tuttavia estranei ai giri di grossa criminalità che preoccupano la cittadinanza ed impegnano nella repressione le forze di polizia: non sono coinvolti nel traffico della droga, nello sfruttamento della prostituzione e nei reati collegati con tali attività. Non sono neppure coinvolti nei reati di rapina, scippi e tanto meno nei reati contro la persona: la loro attività deviante è circoscritta prevalentemente al furto.

L’ispettore di polizia ha riassunto il fenomeno affermando che, probabilmente, staremo tutti molto meglio se i cittadini e le forse dell’ordine avessero a che fare solo con il tipo di microcriminalità prodotta dagli zingari.

Questi dati servono per sfatare facili luoghi comuni determinati dalla scarsa conoscenza e dal clima di intolleranza. Una volta collocata nella giusta dimensione “la tendenza a delinquere” dei rom, va da sé che quando essi commettono devono essere perseguiti né più ne meno come i cittadini italiani. E, come per tutti i gruppi devianti, devono applicarsi misure sociali di prevenzione.

Nomadi – cittadini: una difficile convivenza
L’esistenza di una particolare intolleranza della popolazione nei confronti degli zingari è tanto evidente da non aver bisogno di dimostrazione. Osserviamo l’indulgenza, a volte persino la simpatia, di cui facciamo oggetto altri gruppi etnici presenti nel territorio: il caso più evidente è quello della comunità senegalese. Per gli zingari non è così, persino gruppi di cittadini che per fede religiosa o ideologia hanno un atteggiamento di solidarietà nei confronti degli extracomunitari, fanno un eccezione per gli zingari e rimangono diffidenti, se non addirittura ostili, nei loro confronti.
Abbiamo visto come cercarne le motivazioni sia compito non facile. Ci limitiamo ad alcuni richiami all’immaginario collettivo: gli zingari che rubano i bambini e le madri che ancora spaventano i loro figli dicendo loro: se non fai da bravo ti vendo agli zingari. Le comunità nomadi si differenziano da quasi tutti gli altri gruppi etnici presenti nel territorio, per il radicamento della loro cultura che li rende, innegabilmente, più di qualsiasi altro immigrato, estranei ed irriducibili alla nostra. Mentre alcuni gruppi sono tendenzialmente integrabili alle nostre regole ed alle nostre abitudini: così non è per i rom che si difendono caparbiamente da ogni tentativo di omologazione. Il fatto stesso che vivano tra di loro, nei loro campi, continuando a mantenere le loro tradizioni e le loro regole, anziché disperdersi nel territorio; il fatto che continuino a sposarsi quasi esclusivamente all’interno del clan, rifuggendo i matrimoni misti; il fatto, in ultima analisi, che essi stessi vogliano mantenere quella diversità che oggi li caratterizza, rende meno facile la conoscenza e quindi la comprensione. E proprio la scarsa conoscenza che abbiamo di essi favorisce la diffidenza e l’insofferenza nei loro confronti.

Così si finisce per semplificare. Si dice, ad esempio, che “sono sporchi”. In realtà esistono famiglie che rispettano l’igiene e famiglie che la trascurano, più o meno come noi indigeni. Certo che è più difficile mantenere regole igieniche quando si hanno scarsi servizi. Spesso ci lasciamo trarre in inganno dalle apparenze: molti zingari si vestono “da sporchi” per il semplice motivo che è quello l’abito da lavoro. Forse che i sardi che chiedono l’elemosina portano il vestito della festa? Molti di quelli che ci sembrano trasandati, al termine della loro giornata di lavoro si cambiano d’abito, a seconda dei tempi e dei riti delle loro tradizioni. Non avrebbe certamente detto che gli zingari sono sporchi chi avesse potuto assistere al primo giorno di scuola delle ragazze rom che hanno frequentato un corso di formazione organizzato dall’Assessorato regionale al lavoro presso il loro vecchio campo di via San Paolo. Non è che un esempio, per farci comprendere come gran parte del pregiudizio ha origine nella scarsa conoscenza.

Le politiche di accoglienza
Questa difficoltà di fondo spiega anche il limite principale di tutte le politiche di accoglienza che, negli ultimi anni. si è tentato di realizzare nel territorio. In apparenza si è accolta l’idea che occorre migliorare le condizioni di vita dei gruppi rom garantendo loro alcuni servizi essenziali. Ma se si riflette sulle dinamiche sociali che hanno accompagnato queste politiche, ci si rende conto che l’obiettivo reale è stato, quasi sempre, quello di allontanarli, di tenerli lontani. Gli abitanti dei quartieri non vogliono gli insediamenti vicini alle loro case, ogni tanto si arriva a vere e proprie sommosse popolari; il Comune vuole eliminare dal suo paesaggio i campi nomadi. Quante volte si è detto, a proposito dei campi di via San Paolo, che costituivano un pessimo biglietto da visita per la città, sottolineando che i turisti, non appena sbarcati a Cagliari, si trovavano di fronte lo squallido spettacolo di una baraccopoli? Cacciati da qualsiasi luogo che avesse anche il minimo interesse per i cittadini, i gruppi nomadi hanno finito per insediarsi, in prevalenza, negli unici luoghi che non hanno interesse per nessuno: le discariche. Proprio partendo da questa considerazione, un antropologo che ha scelto di vivere per anni assieme a loro ha intitolato il libro nato da quella esperienza: “Il popolo delle discariche”.

Quando si è trattato di dare attuazione alla legge regionale cosiddetta “Tiziana”, dal nome di una bambina zingara morta per il freddo in un campo nomadi alla periferia di Cagliari, numerosi comuni hanno praticato l’obiettivo di eliminare i campi spontanei, costruendo, talora con finanziamenti imponenti, campi sosta, continuando di fatto ad allontanare ed isolare il più possibile gli zingari dalla città. Più che rispondere alle esigenze dei nomadi, ancora una volta, si è data risposta alle esigenze dei gruppi più intolleranti dei cittadini, cogliendo l’occasione per allontanarli, in alcuni casi “rinchiudendoli” in quei campi.

La mancanza di una anche minima attenzione ha determinato, talvolta, soluzioni paradossali. Nessuno, ad esempio, si è curato di conoscere le caratteristiche dei diversi gruppi, la forte conflittualità esistente al loro interno, e così ha “condannato” a convivere nello stesso spazio famiglie la cui conflittualità è comparabile a quella tra serbi e bosniaci.
La stampa locale, probabilmente soltanto i più accorti l’avranno notato, ha così dovuto registrare che la festa di inaugurazione del nuovo campo sosta di Cagliari si è svolta con tavoli separati, tra famiglie che non si parlavano.
L’accoglienza, in altri termini, non solo ha esasperato l’allontanamento dei nomadi dalla città, ma talora ha creato ulteriori guasti.
Un altro aspetto dell’accoglienza è dato dall’impostazione tipicamente assistenzialistica che interessa, purtroppo, anche alcune associazioni di volontariato che operano in questo settore.

L’associazione Sucania
Una politica di intervento basata sulla conoscenza

Per comprendere il senso dell’attività svolte dall’associazione Sucania a Cagliari in questi ultimi anni, occorre prendere le mosse proprio dalla sua concezione dell’intervento tra i rom. Riteniamo che il principale obiettivo della nostra azione sia quello di contribuire al superamento di quella barriera esistente tra la popolazione e le famiglie rom insediate nel territorio attraverso un’iniziativa culturale fortemente basata sulla conoscenza. Se non si assume questo obiettivo, qualunque iniziativa non potrà mai produrre risultati significativi. Ed i destinatari della nostra azione, pertanto, per quanto paradossale possa apparire, non sono gli zingari, o quantomeno non solo essi: dell’informazione e della formazione devono essere destinatari principalmente i cittadini, a cominciare dalle scuole, perché solo una nuova cultura potrà produrre risultati positivi e stabili. La finalità dell’azione non può essere, infatti, quella dell’acculturazione di questi gruppi, ormai stabili nel nostro territorio, per spingerli ad assumere i nostri valori ed i nostri comportamenti, bensì quello della comprensione e del rispetto reciproco dei rispettivi valori.

Per questo non abbiamo mai fatto e non intendiamo fare carità o assistenzialismo. Piuttosto fornire strumenti, facilitare l’esercizio dei diritti e riconoscere a ciascuno il diritto di decidere se intende mantenere i propri valori e la propria cultura oppure integrarsi ed assumere quelli della società in cui vive. Ed in ciò, riteniamo, si deve essere veramente imparziali (altro compito complesso), perché è facile cadere nei due eccessi opposti: quello di auspicare la conservazione immobile di quella cultura, e quello di auspicare una totale integrazione. La scelta dev’essere dei diretti interessati nel rispetto delle regole della comunità in cui vivono.

Certamente è necessaria un’approfondita conoscenza di quella cultura, e sono necessari gli adattamenti e la gradualità che soli possono garantire un positivo risultato.

E’ per questo che l’associazione opera soprattutto nel campo della formazione, realizzando iniziative di studio e di informazione, anche attraverso l’utilizzo di audiovisivi che possono essere proposti a livello scolastico.

Nei confronti dei rom si propone di facilitare l’esercizio dei diritti, alla salute, alla libera circolazione, all’istruzione, in condizioni di uguaglianza con tutti gli altri cittadini.

L’esperienza più significativa condotta dall’associazione è stata, certamente, la realizzazione di un corso di formazione per giovani zingare. Si è trattato di un’impresa non facile che ha richiesto, prima di tutto, un’approfondita conoscenza. Poiché sarebbe stato velleitario pensare di portare adolescenti e ragazze zingare nelle aule di una scuola, abbiamo costruito un edificio scolastico nel loro campo, abbiamo quindi organizzato il corso in orari compatibili con le loro abitudini. Era impensabile ritenere di svolgere le lezioni negli orari nei quali le ragazze sono impegnate nell’elemosina: da essa traggono gran parte del sostentamento della famiglia e mai avrebbero potuto rinunciare al loro lavoro, i capifamiglia, tra l’altro non l’avrebbero mai consentito. Solo nel pomeriggio, dopo il lavoro della mattina e dopo aver assolto alle incombenze del pranzo, avrebbero potuto recuperare un tempo per loro. Ed anche ciò non è stato facile, perché i maschi erano riluttanti a farsi carico dei loro figli. All’attività della scuola si è quindi accompagnata (in raccordo con i servizi sociali del comune di Cagliari) un’attività di animazione per i bambini in modo da consentire alle donne la frequenza del corso.

Tutto ciò non era ancora sufficiente. L’insegnamento rivolto a persone non abituate alla scuola, portatrici di una cultura notevolmente differente dalla nostra, è cosa estremamente difficile, e così abbiamo selezionato, per il modulo di base, quello destinato all’insegnamento della lettura e della scrittura, due insegnanti di grande esperienza (e di lingua madre slava) che hanno condotto il corso con professionalità.

Gli argomenti del corso sono stati incentrati sull’alfabetizzazione, l’apprendimento della lettura e della scrittura, ma una parte rilevante è stato riservato alla conoscenza dei diritti dei cittadini, per favorirne una successiva pratica. Uno dei moduli, realizzato direttamente dall’ordine provinciale delle ostetriche, ha riguardato le conoscenze fondamentali di educazione sanitaria con particolare riferimento al ciclo riproduttivo e alla sfera sessuale: il modulo ha costituito il presupposto per un miglioramento delle condizioni di vita della donna.

Altri moduli hanno riguardato la conoscenza storico ed artistica della nostra regione con visite guidate alla reggia nuragica di Barumini, al museo di Villanovaforru ed al museo di Laconi, dove è stato lo stesso sindaco del paese a far da guida alle ragazze.

Non sono mancati momenti di socializzazione in pizzeria e la festicciola, in aula, alla fine dell’anno scolastico.
Così molte delle ragazze, in sei mesi, hanno appreso a leggere ed a scrivere, ma soprattutto hanno acquisito strumenti che consentono loro una maggiore comprensione della nostra cultura, la possibilità di esercitare diritti che prima non pensavano neppure di avere, ed hanno sviluppato rapporti di familiarità e di amicizia (la cosa è stata reciproca) con le volontarie impegnate in quell’attività.

Crediamo così di aver sperimentato che la scolarizzazione è possibile, se condotta con la dovuta attenzione. E riteniamo questo un primo passo, in vista di un progressivo inserimento nelle scuole pubbliche. Non solo non vi è stata disaffezione per la scuola, ma un grande entusiasmo, e addirittura si è verificato che alcune ragazze del campo che, a causa dell’età, non erano ammesse alla frequenza del corso (corso ufficiale realizzato nell’ambito della formazione professionale regionale) per tentare di essere ammesse hanno dichiarato di avere un’età non corrispondente a verità.
Si è trattato, come si vede, di una realtà ben diversa da quella dei pulmini che viaggiano vuoti con la pretesa di portare i bambini zingari nella scuola pubblica. Ed anche per quanto riguarda esperienze diverse dalla nostra, abbiamo riscontrato che le poche esperienze positive sono state quelle dove l’inserimento scolastico è stato seguito con particolare attenzione e professionalità (come avviene, ad esempio, nel comune di Monserrato dove gli stessi genitori accompagnano i propri figli a scuola).

A fine corso alcune delle ragazze hanno espresso il desiderio, un giorno, di poter fare le cameriere. I loro nomi sono Silvija, Biljana, Liljana, Gordana, Lidja, Melvida, Jagoda, Nejada, Svetlana, Giovanna, Jevada, Esma, Mevla, Silvana e Isetta.

Un popolo senza terra
Secondo le tradizioni popolari di diversi periodi storici e di diversi paesi, gli zingari sono considerati “figli di Caino”, biblicamente condannati ad errare sulla faccia della terra, o pagano la colpa di aver forgiato i chiodi per la crocifissione di Gesù (tema, questo, ancora presente, nei canti popolari del Venerdì santo) o sono ritenuti responsabili di aver rifiutato ospitalità a Maria partoriente.

L’antropologia lombrosiana li classifica quali “delinquenti nati” e la tradizione europea, ecclesiastica e laica, li considera “ereditariamente maledetti, selvaggi, ladri e fannulloni”.

Si spiegano in questo orizzonte di violenza ideologica i sottili tentativi di distruggere la loro identità culturale abolendo il loro nomadismo o proponendo iniziative educative volte a forzare l’assimilazione di bambini zingari sottratti alle loro madri e famiglie (proposta del sindaco di Firenze nell’estate del 1993).

Molti studiosi ritengono che gli zingari siano un popolo fatalmente destinato all’estinzione. Ma c’è un autore, Michael Stewart, che nega decisamente tale ipotesi e che ritiene invece che si tratti di un popolo destinato a resistere. In tutta Europa, infatti, sono riusciti a preservare un modo di vita distinto, adattandosi ai mutamenti della loro condizione.

Partendo dalla concezione per cui un popolo è caratterizzato da tre elementi: la lingua, l’identità e la terra, Stewart osserva che il popolo rom possiede solo due di questi elementi: la lingua e l’identità. Secondo tali parametri gli zingari dovrebbero essere definiti una sorta di “errore storico”. Perché la loro non è una diaspora, essi non hanno una terra da rivendicare, una terra promessa, come è avvenuto per altri popoli che hanno dovuto abbandonare la loro terra.
Il popolo nomade non ha né patria da sognare, né terra d’origine da rivendicare. Essi sono un popolo senza patria e stanno bene così.

Il senso dell’identità e la gelosa tutela della loro lingua sono fortemente radicate e perdurano nel tempo. Sono un popolo che ha superato prove ben più difficili, in fondo, di quelle che affronta oggi. Ed un popolo che, ad onta di tutto e di tutti, sopravvive.

Bibliografia essenziale
Violetta Pireddu, Zingari a Cagliari. Matrimonio e famiglia tra i Romà Xoraxané, Tesi di laurea, facoltà di Magistero, 1991-1992.

F. Cozannet, Gli zingari. miti e usanze religiose, Milano, Jaka Book 1975.

Alberto Melis, La terza metà del cielo. Gli zingari in Sardegna, Cagliari, GIA editrice, 1995.

M. Karpati, Gli zingari in Italia, in “Lacio-Drom”, n. 56.

L. Piasere, Popoli delle discariche, Roma, Cisu, 1991.

M. Stewart, Un popolo senza patria, in “Terrain”, n. 17.

A.R. Calabrò, Il vento non soffia più. Gli zingari ai margini di una grande città, Venezia, Marsilio, 1992.

L. Piasere (a cura), Comunità girovaghe, comunità zingare, Liguori 1995.

Services 2. Click here to edit me

 

I'm a paragraph. Click here to add your own text and edit me. It’s easy. Just click “Edit Text” or double click me and you can start adding your own content and make changes to the font. Feel free to drag and drop me anywhere you like on your page.

This is a great space to write long text about your company and your services. You can use this space to go into a little more detail about your company. Talk about your team and what services you provide. Make your company stand out and show your visitors who you are.

Services 3. Click to edit me

 

I'm a paragraph. Click here to add your own text and edit me. It’s easy. Just click “Edit Text” or double click me and you can start adding your own content and make changes to the font. Feel free to drag and drop me anywhere you like on your page.

This is a great space to write long text about your company and your services. You can use this space to go into a little more detail about your company. Talk about your team and what services you provide. Make your company stand out and show your visitors who you are.

bottom of page